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Stabilimento Ilva di Taranto

L’incerto futuro dell’Ilva

Oggi si discute degli emendamenti del governo al decreto Ilva in esame alle commissioni riunite Industria e Ambiente del Senato

Nel 2008 Vincenzo Fornaro ha vissuto una profonda crisi delle propria azienda: 605 capi di bestiame, principale fonte di reddito della famiglia, furono abbattuti perché contaminati con diossina. Quella di Fornaro è stata la prima azienda che ha dato via al procedimento che poi è sfociato nel processo “ambiente svenduto”: «la mia è la terza generazione di allevatori in famiglia, e per l’inquinamento dell’Ilva l’attività si è chiusa, poiché anche i terreni sono fortemente contaminati dalla diossina. Nel 2008 facemmo una denuncia contro ignoti – continua Fornaro – e in seguito dimostrammo con una perizia che l’inquinamento veniva dallo stabilimento industriale».

Oggi i titoli parlano del fallimento, dichiarato il 30 gennaio, delle proteste dei lavoratori dell’indotto dell’Ilva, del processo, e della richiesta del Gup di escludere la responsabilità civile dell’azienda. Abbiamo commentato le notizie con Vincenzo Fornaro.

Cosa pensa dei titoli di oggi?

«Il Gup ha fatto queste affermazioni anche grazie al settimo decreto varato dal Governo Renzi. A partire dal Governo Monti fino ad arrivare a quello attuale, c’è stato un susseguirsi di scelte pessime per la città di Taranto, tese unicamente a salvaguardare gli interessi delle grandi lobby industriali e in questo caso anche delle banche a discapito dei cittadini, tra cui noi, che da sei anni combattiamo questa battaglia. Dichiarando il fallimento le uniche a essere tutelate sono proprio le banche. Il Governo Renzi ha la caratteristica di aver scontentato tutti, i cittadini e gli operai della fabbrica. Non ha risolto il problema. L’intera classe politica ha cercato di nascondere il danno: questa è una fabbrica destinata a chiudere, se ne sono accorti tutti. Se si fossero impiegati questi sei anni di risorse finanziarie per salvaguardare i posti di lavoro degli operai, o con delle bonifiche serie e non solo annunciate, non si sarebbe perso tempo: ora la fabbrica chiude lo stesso e rimarranno senza lavoro, non saranno tutelati, perché saranno invischiati nella procedura fallimentare».

Quello del lavoro è in effetti uno dei punti importanti, in questa vicenda.

«Piano piano le alternative lavorative si stanno annullando: parlando di zootecnia, per esempio, coinvolge molti posti di lavoro, ma è un altro settore che non si sta tutelando; l’altroieri sono stati abbattuti altri 64 capi di bestiame. Fin dall’inizio non si è parlato degli operai che lavoravano in queste aziende agricole, anche loro avevano famiglie, bollette, mutui da pagare. Nascondono dietro la scusa del ricatto occupazionale la salvaguardia dei posti dei lavoratori dell’Ilva, ma degli operai non si preoccupano realmente, fra poco rimarranno anche loro in mezzo a una strada. Diversi operai, infatti, seguendo quelli dell’indotto, hanno formato dei presidi per protestare, anche all’interno dell’Ilva. Hanno capito che dietro ai decreti non c’è la tutela del loro lavoro, ma dei grandi interessi industriali».

Qual è una prospettiva per Taranto senza l’Ilva?

«Ci sono già vari progetti realizzati dai cittadini, che partono dal basso. Il problema è che è come parlare a un sordo, non si vuole andare oltre a questa fabbrica. Taranto è l’acciaio, ma non vogliono capire che l’era dell’acciaio e dell’industria di questo tipo è finita. La politica non incentiva altro tipo di sviluppo, anche se la città si è sempre basata sulla pesca, sull’agricoltura e sul turismo. Le alternative per Taranto ci sono, non c’è la volontà».

E l’Ilva, che prospettive ha?

«Sicuramente il Governo proverà a tenerla in vita con la flebo, un malato terminale che non si vuole far morire. Ma il destino è la chiusura che porterà con sé il fallimento di una classe politica a tutti i livelli. Non so quanto altro tempo potrà passare, anche se credo che siamo agli sgoccioli. Tanti operai stanno prendendo coscienza di questo e stanno chiedendo a gran voce delle alternative. Impiegare gli operai nella bonifica, che ha bisogno di tantissima forza lavoro, potrebbe essere una soluzione, un investimento che salvaguarda i posti di lavoro, il territorio e la salute dei cittadini». 

 

Foto: Stabilimento Ilva di Taranto, dicembre 2007, di mafe de baggis, con licenza CC BY-SA 2.0 via Wikimedia Commons

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