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Riformare il papato. O farne a meno

Nel suo consueto discorso prima di Natale, papa Bergoglio richiama la Curia a riconoscere i mali da cui è afflitta. Il commento di Fulvio Ferrario

Alzheimer spirituale, rivalità, vanagloria, schizofrenia esistenziale, esibizionismo, profitto mondano: sono in tutto quindici le “malattie” che affliggono la Curia romana secondo papa Francesco, che ha voluto fare un profondo richiamo ai suoi collaboratori durante il consueto discorso di auguri prenatalizio. Bergoglio non si è risparmiato, sia nei toni che nella sostanza, nel suo appello a guardare in faccia i peccati della chiesa: un richiamo alla Curia a fare un esame di coscienza che, trattando di giustizia, solidarietà e spirito di servizio (o della loro mancanza), si estende inevitabilmente a tutti i cristiani e alla società. Ne abbiamo parlato con Fulvio Ferrario, docente di Teologia Sistematica alla Facoltà valdese di Teologia di Roma. 

Come commenta il discorso del papa?

«Innanzitutto si tratta del discorso di un cristiano ad altri cristiani e in quanto tale l’ho fatto mio come utile spunto di riflessione, se si esclude la tentazione dell’accumulo di ricchezze, dal quale mi difende la chiesa valdese. È stato un discorso senza peli sulla lingua, molto forte e chiaro, sicuramente per la forma ma anche per i contenuti, un richiamo che immagino non rimarrà senza conseguenze per la chiesa cattolica e che anche nell’osservatore esterno suscita un vivo rispetto. Le sue parole erano ricche di riferimenti precisi e molte persone si saranno sentite chiamate in causa quasi nominalmente».

Ci sono precedenti in questo senso? Enzo Bianchi sulla Stampa di oggi cita san Bernardo.

«Certo, Bernardo di Chiaravalle: ma andiamo un po’ indietro con gli anni e comunque non era un pontefice e per le dinamiche interne della chiesa cattolica conta molto anche chi è che parla. Nella storia della chiesa non sono mancati personaggi che hanno parlato in tono profetico ma in questo caso l’approccio è certamente molto originale». 

Vito Mancuso su Repubblica sostiene invece che la Curia, con i suoi mali, non è che un’emanazione dell’amministrazione ecclesiastica papale. 

«La tesi di Mancuso è corretta: la Curia è espressione della chiesa di Roma, quindi alla riforma della Curia deve corrispondere una riforma del papato, le due cose non sono scindibili. Però il mio compito come evangelico non è dare consigli al papa su quello che ancora va fatto: io apprezzo quel che ha detto, le conseguenze per quanto riguarda lo stesso ministero pontificio le deve trarre lui. Aggiungo soltanto che il problema del governo della chiesa è già stato posto dalla Riforma protestante. La riforma del papato, come la propone Mancuso da cattolico è soltanto una delle soluzioni, da cinquecento anni la storia ne propone un’altra, e cioè una chiesa senza papa e senza curia».