Ospitalità greca
18 dicembre 2014
Trecento profughi siriani in attesa del diritto di asilo in Grecia: la crisi mette in pericolo l’accoglienza mentre l'Europa non prende posizione
Dal 19 novembre 300 profughi siriani si sono accampati davanti al parlamento greco, in piazza Syntagma: hanno protestato, anche con uno sciopero della fame di due settimane, affinché il governo accelerasse i tempi per il riconoscimento del loro status di rifugiati e concedesse loro il diritto di asilo, una procedura che per la legge greca non deve durare più di due settimane e che è iniziata il 16 dicembre per 603 persone. Lunedì all’alba i rifugiati sono stati mandati via, e in questo momento sono ospitati dal comune di Atene, dalla regione e da movimenti di solidarietà. «Al momento sono in attesa e fra 15 giorni dovrebbero avere il riconoscimento dell’asilo, cosa che permetterà loro di ottenere il passaporto del profugo, documento che ha validità su tutta l’Unione Europea, e che per tre mesi dà loro la possibilità di lasciare la Grecia, finalmente» ci racconta la giornalista Margherita Dean, direttamente da Atene. Oltre a non essere considerati, infatti, non potevano nemmeno spostarsi: «La Grecia è un luogo di passaggio di molte persone che, come avviene in Italia, arrivano con tutti i mezzi possibili in condizioni molto precarie – continua la Dean – alcuni di loro hanno tentato di passare in Albania, qualche giorno fa un medico siriano è morto di infarto nel tentativo di oltrepassare il confine».
La loro situazione era stata al centro di dibattito politico?
«Da parte del Governo c’è una certa riluttanza a riconoscere il diritto di asilo per i profughi; anche se la legge greca ha accolto le direttive europee in merito, la realtà di guerra da cui vengono queste persone non sembra mettere in questione il governo, che ha la tendenza a considerare un tutt’uno profughi, migranti economici e così via, come fa l’opinione pubblica. I siriani dunque pagano la stanchezza delle autorità che sono da anni impegnate a gestire, male, i numeri inverosimili di persone che oltrepassano i confini greci. La Grecia da sola non ce la può fare, ha bisogno dell’Unione Europea, alla quale però fa molto comodo la convenzione di Dublino, che stabilisce che la responsabilità è del primo paese di accoglienza».
In un comunicato il Governo si è in qualche modo giustificato con la situazione di crisi del paese: la situazione è ancora drammatica?
«Il numero di disoccupati è alto, ma è anche vero che è in netto aumento il lavoro nero: l’istituto del lavoro parla del 40% di occupazione sommersa. Le vittime principali ovviamente sono gli immigrati. Quando il primo ministro dice che la Grecia ha già i propri disoccupati per preoccuparsi degli altri fa affermazioni pericolose, e fa presa su un certo pensiero di estrema destra che qui sappiamo bene dove ha portato, con Alba Dorata arrivata al Parlamento nel 2012. Dopodiché è vero che la crisi c’è e si sente ancora, la disoccupazione è rimasta la stessa, la pressione fiscale è fortissima, sia per le imprese sia per i cittadini, quindi è difficile districarsi nella crisi. Molti cercano ancora nella spazzatura di che cibarsi, tutte le volte che c’è una distribuzione di viveri ci sono lunghe file, ci sono bambini che vanno a scuola senza la merenda, nella scuola dei miei figli si organizzano molto spesso raccolte di viveri per chi non ne ha. Gli immigrati pagano tutto questo in termini di poca disponibilità, accoglienza e ospitalità».
Come si inserisce in questo quadro la possibilità di elezioni anticipate?
«Da poco c’è stata la prima tornata elettorale, il governo dovrà eleggere il presidente della Repubblica, ma sembra che i numeri non ci siano. L’ultima chance sarà il 29 dicembre, se dovesse non esserci il numero di voti necessari, ci saranno le elezioni anticipate. I sondaggi dicono che Syriza, il partito di sinistra, è in vantaggio con tre punti percentuali, con una forbice di distanza dal partito del governo che in realtà si sta riducendo rispetto al 6-7% di poco tempo fa. La paura di tornare alla Dracma è nuovamente presente, con uno scenario preelettorale identico a quello delle elezioni politiche del 2012. Ho la sensazione che l’Europa si sia abituata all’idea che un giorno avrà a che fare con un governo di sinistra in Grecia, che però dovrà trattare con gli imprenditori del paese, e la linea delle trattative che seguirebbe Syriza in caso di vittoria è tutt’altro che chiara».
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