Alzare lo sguardo al cielo
15 dicembre 2014
Un giorno una parola – commento a Daniele 12, 3
I saggi risplenderanno come lo splendore del firmamento e quelli che avranno insegnato a molti la giustizia risplenderanno come le stelle in eterno.
(Daniele 12, 3)
Ricordatevi dei vostri conduttori, i quali vi hanno annunciato la parola di Dio; e considerando quale sia stata la fine della loro vita, imitate la loro fede.
(Ebrei 13, 7)
Con linguaggio altamente poetico Daniele parla dei saggi. Il suo è un canto dedicato a persone di grande dignità. Impiega termini quali: splendore, firmamento, giustizia. Fa una descrizione precisa e lusinghiera dei saggi, del loro ruolo di insegnanti e del loro destino ultimo, chiamati a brillare in eterno. Rende un giusto tributo a coloro che esercitano il ruolo fondamentale di guide del popolo, senza altra arma che quella della saggezza e della giustizia.
Al tempo di Daniele i saggi scrutavano il cielo e negli astri scorgevano segni premonitori degli eventi storici. La loro saggezza esercitava un’influenza benefica sulle scelte dei re e dei popoli disposti ad abbandonare la via corrotta. Erano dei saggi quelli che in Oriente scorsero la stella che annunciava la nascita di Gesù, il Salvatore del mondo e l’iniziatore della nuova era; ne colsero la portata e si incamminarono verso Betlemme, per rendere omaggio al Principe della pace.
Scrutare il cielo in cerca di segnali per il nostro vivere appare arduo, anzi ci appare superfluo, primitivo e superstizioso. E allora siamo portati a guardare in basso; a guardare la nostra dimensione orizzontale come il nostro unico orizzonte. È così che ci lasciamo irretire dagli imbonitori di turno. Una volta scartata la possibilità di guardare in alto non ci rimane che la banalità quotidiana.
Ma il passo di Daniele ci richiama a un’antica saggezza, a guardare al cielo, a guardarlo come lo guardava Immanuel Kant: il cielo stellato sopra di me, e la legge morale in me. Qui comprendiamo che alzare lo sguardo al cielo non è un atto superstizioso, ma un sapere guardare alle cose che contano dentro e fuori di noi stessi, perché ci sia possibile vivere liberi da pregiudizi e schiavitù.