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Domani a Roma «Diamoci una mano. Spezziamo i pregiudizi»

Iniziativa di incontro e dialogo con i giovani rom e sinti. Intervista a Sabrina Milanovic

In Italia si stima che vivano tra 110 e 170 mila rom e sinti, lo 0,25% dell’intera popolazione residente e ad oggi la minoranza rom continua ad essere la più discriminata in Italia e in Europa.

Da anni il Servizio Rifugiati e Migranti (Srm) della Federazione delle chiese evangeliche in Italia (Fcei) è impegnato su questo tema sia a livello italiano che europeo, in collaborazione con la Churches’ Commission for Migrants in Europe (Ccme).

Attualmente, il Srm porta avanti un progetto di formazione e accoglienza per giovani rom in collaborazione con l’Associazione 21 Luglio e il Foyer YWCA di Roma.

Nell’ambito del progetto, domani a Roma si terrà l’iniziativa «Diamoci una mano. Spezziamo i pregiudizi», un pomeriggio di incontro, dialogo e scambio con i giovani rom e sinti attivisti per i diritti umani.

Per l’occasione abbiamo intervistato Sabrina Milanovic, una giovane ragazza rom di 24 anni con cittadinanza italiana. Sabrina è nata in Italia e ha sempre vissuto in un campo rom a San Nicola d’Arcidano (OR) con la sua famiglia di origini serbe.

Ha frequentato il primo corso per attivisti rom e sinti promosso dall'Associazione 21 Luglio e dal Centro Europeo per i Diritti dei Rom (Errc) e dal 7 settembre è a Roma per svolgere uno stage presso l’Associazione 21 Luglio e in parte al Srm.

L’anno scorso hai partecipato al corso per attivisti rom e sinti. Cosa ha significato?

In Sardegna credevo di essere l’unica ragazza che avesse degli ideali, che volesse riuscire a cambiare qualcosa e a smontare dei pregiudizi rivolti ai rom. Quando sono arrivata il 20 ottobre 2013 a Roma ho trovato dei ragazzi da varie parti d’Italia che, come me, avevano questi ideali e volevano fare qualcosa di buono e far vedere il lato positivo del mio e del nostro popolo. Fino ad oggi si è visto solo e soltanto il lato negativo del popolo rom. Ho scoperto un gruppo che mi ha dato tanta forza e tanta più voglia di fare di quella che avevo prima perché l’unione fa la forza.

Durante il corso ho imparato tantissime cose e ora che sono qui per il tirocinio sto mettendo in pratica le cose studiate e sto scoprendo veramente tantissime realtà che in Sardegna non ci sono.

Quali differenze stai notando?

Anch’io vivo in un campo però il mio campo è diverso: è un campo “attrezzato” e ognuno dentro ha il bagno. È in periferia, ma vicino al paese. Pur essendo un campo riusciamo a vivere dignitosamente. Quando sono entrata per la prima volta in un campo a Roma mi si sono aperti gli occhi, ho visto una realtà e una dimensione diversa dal mio modo di vivere nel campo. Allo stesso tempo, mi ha fatto ricordare che una volta in un campo simile ci vivevo anch’io perché il mio campo è stato ricostruito dopo un incendio. I campi di Roma sono molto più grandi, sono monoetnici e… c’è aria diversa.

Cosa diresti a chi non sa cosa significa vivere in un campo?

A chi pensa “Eh ma tanto i rom non pagano niente, vivono così selvaggi, sono liberi, non vogliono vivere nelle case, vogliono vivere nei campi”, direi che purtroppo a volte i rom non riescono ad uscire dai campi. Non è questione di voler rimanere nel campo. La questione è che non riesci ad uscire, a vivere una vita normale come tutti gli altri perché le basi non ci sono. Molte istituzioni dicono “Tu sei rom e devi stare nel campo”, oppure se uno è rom non riesce a prendere una casa in affitto o a trovare un lavoro.

La gente fuori non capisce cosa vuol dire non perché non voglia capire ma perché nella sua mente ha già un’idea precostituita di cosa voglia dire vivere in un campo. Se uno va a viverci dentro, è una cosa completamente diversa. È vivere la vita in modo amplificato…

Che significa per te “vivere in modo amplificato”?

Fino a quando vivi in un campo hai sempre bisogno delle materie prime. Stare in una casa e stare in un campo è una cosa diversa. Sei a contatto con tutti e questo è bellissimo perché il popolo rom è molto legato e c’è tanta solidarietà. Però se ci fosse la possibilità di avere una casa, saremmo contenti di andarcene. Con i campi c’è chi ci guadagna e non sono i rom.

Se avessi le possibilità, vorrei tanto avere una mia casetta con la mia famiglia, perché da lì riesci ad avere delle possibilità in più, sei vista in modo diverso dalle istituzioni e dalla società. Secondo me, riesci ad avere più possibilità lavorative. Alla fine, ti ritrovi sempre nel campo... Spero un giorno di riuscire ad uscirne.

Quali desideri hai per il futuro?

Io vorrei diventare una cuoca, è il mio sogno nel cassetto e intendo realizzarlo il prima possibile. Per problemi familiari non ho potuto studiare. Appena rientrerò in Sardegna cercherò un corso di formazione o le scuole serali per riprendere lo studio perché oggi se non hai un diploma non sei niente. Voglio studiare e riuscire ad aprire un’attività familiare e vivere dignitosamente. Chiedere sempre l’elemosina vuol dire riuscire ad andare avanti a fatica. Lo fai per forza perché non hai lavoro. Che fai, muori di fame? Con l’elemosina riesci a tirare avanti giorno per giorno, vivi alla giornata. E l’indomani è sempre la solita vita. In futuro spero, e ci riuscirò, di realizzare questo mio sogno e con una base economica spero di poter uscire dal campo.

Quale messaggio vorresti lanciare all’esterno?

Imparate a conoscerci, perché lo scambio interculturale e il vivere di contaminazioni non può che arricchire le persone. La conoscenza e il sapere aprono la mente e ti aprono qualsiasi porta. Invece, fino a quando si continuerà a avere la mente chiusa e a non voler conoscere altre culture diverse dalla propria e altri popoli, non si farà mai un passo in avanti per poter vedere un domani migliore. Questo vale sia per i rom che per i non rom perché c’è mentalità chiusa da ambedue le parti. L’interazione e la contaminazione tra popoli è il passo che bisognerebbe affrontare. Soltanto iniziando a conoscersi si possono smontare i pregiudizi.

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