Causa prima: razzismo
14 novembre 2014
I disordini di Tor Sapienza, Roma, mettono in evidenza la mancanza di diritti diffusi per tutti i cittadini. Il commento del Servizio Rifugiati e Migranti della Fcei
Alla fine lo Stato ha ceduto. Dopo l’ennesimo tentativo di assalto, 43 minori sono stati trasferiti «per motivi di sicurezza» dal Centro di accoglienza per richiedenti asilo di Tor Sapienza, quartiere della periferia est di Roma. Il Centro di via Morandi, gestito dalla cooperativa “il sorriso”, ospita 72 rifugiati fra adulti e minori. L’accoglienza da parte dei residenti di questo popoloso quartiere di 16 mila abitanti, non certo fra i più disagiati della capitale, fin da subito non è stata fra le più rosee, ma le tensioni si sono acuite soprattutto nell’ultimo periodo. Voci non confermate di violenze e aggressioni da parte degli ospiti del Centro sono state le scintille che hanno scatenato la rabbia cieca di un nutrito numero di abitanti. che con bombe carta e sassi hanno tentato l’assalto alla struttura. L’intervento delle forze dell’ordine ha evitato guai maggiori, ma la situazione è ormai fortemente compromessa, con i rifugiati barricati nella struttura terrorizzati e i manifestanti pronti alla caccia all’uomo. Il quartiere – almeno in parte – è in fibrillazione, pronto ad attaccare i rappresentanti delle istituzioni di “passerella” e determinato a continuare nella sua opera di opposizione al Centro. Soltanto ieri un barista ha respinto dal suo locale un migrante: «Qui non c’è posto per voi». La miccia dello scontro è accesa.
«Il fatto è che il razzismo è in aumento un po’ dappertutto e in questi anni in Italia abbiamo collezionato diversi episodi di violenza e aggressione», commenta Franca Di Lecce, direttore del Servizio Rifugiati e Migranti della Federazione delle Chiese evangeliche in Italia. «Quello che è successo a Tor Sapienza si colloca in un contesto di periferie degradate e mancanza di servizi, con gli abitanti che si lamentano della prostituzione, dello spaccio, dell’illuminazione carente». La struttura di cui si parla in questi giorni è nata nel 2011 in seguito all’emergenza Nord Africa: è ampia, di sei piani, e ospita un centro di prima accoglienza per minori stranieri non accompagnati, un progetto Sprar (Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati) e una casa famiglia. «L’immigrazione nel nostro Paese è trattata come emergenza e quindi le misure che ne derivano sono sempre transitorie», spiega Franca di Lecce. «Una situazione che si presta facilmente alle strumentalizzazioni e alla manipolazione delle paure dei cittadini: l’equazione migranti-criminalità viene esibita dalla maggior parte dei media e diventa capro espiatorio dei problemi sociali insoluti. Se poi si aggiunge che in zona c’è un grande campo rom, si capisce come la situazione diventi facilmente esplosiva. Non a caso gli avvenimenti di questi giorni ricordano la dinamica del 2008, quando fu dato fuoco all’accampamento rom a Ponticelli». La costruzione dell’emergenza non aiuta il dialogo e la convivenza: «dal 2008, con il “pacchetto sicurezza”, che ha inserito norme discriminatorie verso i migranti, abbiamo vissuto una stagione triste per quanto riguarda i diritti», commenta ancora Di Lecce. «Il razzismo investe tutti i livelli della società, è diventato non soltanto sociale ma anche istituzionale, basti pensare a quello che ha subito la ministra Kyenge».
Come se ne esce? «Bisogna decostruire la narrazione corrente e convincerci che l’immigrazione non è l’eccezione ma la nostra vita. In questo il ruolo dei media è fondamentale perché l’informazione è molto stereotipata, mette sempre l’accento sull’allarme, sull’invasione, usa cioè un linguaggio bellicoso mentre dobbiamo sforzarci di restituire in modo corretto la realtà della persona, al di là della cultura e del paese di provenienza», aggiunge il direttore del Srm, e aggiunge: Roma è al collasso: un terzo dell’immigrazione gravita sulla capitale. Abbiamo bisogno di un sistema di accoglienza, di servizi ma soprattutto di politiche sociali per tutti, perché abitiamo un territorio comune». Alla fine, Franca Di Lecce non risparmia una nota di speranza: «se il quadro è drammatico, nello stesso tempo ci sono esperienze di una parte della società civile che portano avanti un percorso di dialogo; noi come chiese evangeliche dobbiamo fare la nostra parte in questa direzione, perché questo è il nostro compito: stare al mondo raccogliendo la sfida più grossa del nostro tempo, la migrazione delle persone».