Perseguitati a motivo di Cristo
12 novembre 2014
Un giorno una parola – commento a I Pietro 4, 12-13
Certo, il Signore mi ha castigato, ma non mi ha dato in balia della morte.
(Salmo 118, 18)
Carissimi, non vi stupite per l’incendio che divampa in mezzo a voi per provarvi, come se vi accadesse qualcosa di strano. Anzi, rallegratevi in quanto partecipate alle sofferenze di Cristo, perché anche al momento della rivelazione della sua gloria possiate rallegrarvi ed esultare.
(I Pietro 4, 12-13)
La 1ª lettera di Pietro parla a più riprese delle sofferenze che i suoi lettori si trovano ad affrontare a causa di una persecuzione che, pur non essendo ancora particolarmente sanguinosa, è devastante come un incendio, specie per convertiti dal paganesimo, psicologicamente impreparati a soffrire per il solo fatto di esser diventati cristiani.
Il nostro pensiero corre, sgomento e solidale, a coloro che, in paesi lontani, soffrono per il puro e semplice fatto di essere credenti in Cristo. Le loro chiese sono incendiate, le loro case distrutte e i loro affetti spezzati, le loro stesse vite distrutte, se non hanno la fortuna di trovare scampo nella fuga e nell’esilio.
Anche noi abbiamo sofferto persecuzioni, ma esse sono oggi più che altro un ricordo, di cui ci dicono i libri che narrano la nostra storia. Oggi abbiamo il privilegio di professare in pace la nostra fede, anzi di vivere in una civiltà che si dice cristiana. Certo, rimane da verificare se e quanto lo sia, e anche se e quanto cristiani siamo noi… ma questo è un altro discorso.
Alle nostre sorelle e ai nostri fratelli perseguitati per la loro fede, pensiamo con lo stesso affetto e spirito di preghiera con cui Pietro pensa ai suoi lettori, e ricordiamo loro che, nella durezza della prova, essi condividono in qualche modo le sofferenze di Cristo, mentre Cristo stesso partecipa alle loro; questo può essere perfino motivo di allegrezza, nella prospettiva che, alla fine della storia, non c’è il vuoto o il nulla, ma il mondo nuovo di Dio nel quale una storia nuova comincia, una storia dove “non ci sarà più né grido né cordoglio né dolore, perché le cose di prima sono passate” (Apocalisse 21, 4).