Dalla val Pellice ad Hong Kong
29 ottobre 2014
La testimonianza oculare di due ragazze in viaggio nel sud est asiatico
Cristina Perlo e Gaia Ferrando sono due grandi amiche della valle Pellice con la comune passione per i viaggi. Sono fresche reduci da un tour fra Cina e Hong Kong e sono state testimoni dirette delle proteste che nell’ultimo periodo hanno agitato l’ex Protettorato britannico, tornato sulle prime pagine dei giornali per le richieste di maggiore democrazia e indipendenza, avanzate in particolar modo dalle nuove generazioni, che sentono il giogo asfissiante dello scomodo ingombrante vicino cinese.
La scintilla che ha dato il via alle agitazioni è dovuta ad una mancata riforma elettorale che consenta ai residenti di scegliere democraticamente i propri rappresentanti, che ora sono invece imposti da Pechino.
Gaia e Cristina hanno gentilmente acconsentito a raccontare per Riforma ciò che hanno potuto vedere con i propri occhi.
Quando siete state a Hong Kong e quale era la situazione durante la vostra permanenza?
«Noi siamo state lì dal 17 al 19 ottobre. In quel momento erano due le zone occupate dai manifestanti che abbiamo potuto vedere. La prima in Causeway Bay nell'isola di Hong Kong: era un presidio abbastanza piccolo, che bloccava la parte centrale di una delle grandi arterie stradali dell'isola. La seconda in Mong Kok, nella penisola di Kowloon, che bloccava Nathan Road, strada centrale della penisola che collega la baia di Hong Kong ai quartieri residenziali. Questo secondo presidio era decisamente più esteso e le diverse linee di barricate chiudevano completamente la strada per diversi isolati. Nei vari momenti in cui siamo passate in queste zone la situazione era assolutamente tranquilla: informazione no stop, conferenze, stand informativi, incontri, punti di soccorso, ristoro e tende piazzate per la notte. Stampa internazionale presente con telecamere in tutte le zone che monitoravano la situazione, e una grande spiegamento di polizia, che in modo pacifico sorvegliava tutta la zona. Nessun problema per noi e per la gente ad addentrarsi nelle strade presidiate per leggere e fotografare la situazione. I presidi sono attivi tutto il giorno e la notte, non vengono mai abbandonati. Sono composti soprattutto da ragazzi che studiano, parlano, suonano la chitarra e mantengono la pulizia delle strade e l’ordine intatto (non avevamo mai visto una protesta in cui si facesse la raccolta differenziata)».
Che idea vi siete fatte sui motivi delle proteste?
«Arrivando da venti giorni di viaggio nella Cina continentale è facile capire perché una classe media ed istruita non voglia sottostare alle regole imposte dal governo centrale di Pechino e dal partito comunista cinese. Hong Kong sicuramente non è Cina, l'impronta inglese è visibile e percepibile in ogni zona e marca l'incredibile differenza con la Cina continentale. Peraltro, spostandosi dalla zona delle proteste di appena un paio di strade, la città sembrava indifferente e non coinvolta nella lotta che i ragazzi portano avanti: poco più in là si apre tutta la zona delle case alveari, sul modello cinese, e qui la vita di quartiere continua normalmente, così come nei quartieri dell'alta finanza e del divertimento commerciale di Hong Kong».
Che cosa avete fatto voi?
«Come molti passanti abbiamo lasciato un biglietto di supporto a chi manifestava per estendere i propri diritti. L'idea di lasciare loro il nostro ombrello è nata dal vedere quanti ne venivano lasciati sulle barricate da persone provenienti da varie parti del mondo (è già passata alla storia come la rivoluzione degli ombrelli): ci sembrava giusto, visto che ci siamo trovate a vivere la situazione, lasciare anche il nostro supporto a una battaglia per la democrazia e per la libertà d'informazione, che da europee non possiamo che condividere. Abbiamo letto tutto quello che era tradotto - molto poco in verità - ma abbiamo avuto l'impressione che l’obiettivo della ribellione fosse giustamente Pechino e non il resto del mondo, e quindi tutta l'informazione e i presidi sono tenuti strettamente in mandarino. Nella Cina continentale, come è scontato, non se ne parla affatto e la cosa passa totalmente sotto silenzio».