La preghiera, luogo di apprendimento
28 agosto 2014
Un giorno una parola - Commento a Isaia 65, 24 e Efesini 3, 20-21
Prima che m’invochino, io risponderò; parleranno ancora, che già li avrò esauditi.
(Isaia 65, 24)
Or a colui che può, mediante la potenza che opera in noi, fare infinitamente di più di quel che domandiamo o pensiamo, a lui sia la gloria nella chiesa, e in Cristo Gesù, per tutte le età.
(Efesini 3, 20-21)
Amare vuol dire prevenire i bisogni della persona amata. Lo sa bene una madre che, prima ancora che il suo piccolo urli per la fame, ha già preparato la sua pappa. Lo sanno le generazioni di donne che, nel silenzio, tessono quel lavoro di cura fatto di gesti, invisibili, ma essenziali per vivere. L’apparente semplicità di questi gesti nasce da un’attenta lettura dei bisogni e desideri che abitano la persona di cui si ha cura. Mi commuove che anche Dio giochi d’anticipo con ognuno e ognuna di noi. Egli, in questa immagine biblica, non si presenta come colui che aspetta le nostre suppliche, che vuole essere pregato per intervenire a nostro favore. Come genitore amorevole, anticipa i nostri bisogni.
Questo non significa che la preghiera sia inutile; ma quando questa diventa luogo di scambio e non più dialogo vitale, perde il proprio carattere relazionale. La preghiera, invece, può diventare per noi luogo di apprendimento, se lasciamo agire Dio nelle nostre vite. Egli opera in anticipo proprio perché ci conosce meglio di quanto noi conosciamo noi stessi. La potenza di Dio, che anticipa le nostre domande, ci permette di chiarificare i nostri desideri, di leggerli più a fondo. Perché Dio è presente già nella domanda; non interviene solo come risposta. Riuscire a scorgerlo in ogni piega della nostra vita è la sfida di una fede che confida nella potenza di colui che può molto più di quanto osiamo sperare e sognare.