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Senza dialogo non ci sarà pace

 

«Beati quelli che si adoperano per la pace»
(Matteo 5, 9)

La beatitudine promessa da Gesù ha un significato attivo e rimanda all’imperativo dell’amore per il nemico. La promozione della pace attiene all’ambito interpersonale, ma non è un affare privato e supera i confini della comunità cristiana. Infine, il carattere paradossale delle beatitudini è un’esortazione all’azione paziente nella complessità della realtà e nonostante la scarsità dei risultati.

Dalle colonne de La Stampa (5 agosto), Abraham B. Yehoshua ha sollecitato il governo d’Israele a considerare Hamas come un nemico e non come un’organizzazione terroristica. In pratica, a cercare il dialogo diretto con Hamas. Dialogo necessario perché israeliani e palestinesi sono vicini di casa e perché anche i palestinesi che non condividono l’ideologia di Hamas sono stretti da un forte vincolo di solidarietà con i palestinesi che vivono nella Striscia.

Il carattere spietatamente fondamentalista di Hamas è fuori discussione. Ma è altresì evidente che alla radice del consenso di Hamas c’è una lunga storia di repressione e blocco economico. Zygmunt Bauman ha definito Gaza un ghetto (La Repubblica, 5 agosto).

La proposta di Yehoshua traduce in indicazione politica gli elementi della beatitudine di Gesù, per tre ragioni. Prima: non si può chiedere al governo di Netanyahu di amare Hamas, ma gli si può chiedere di riconoscerlo come un nemico e si può chiedere a Israele di rinunciare ad attribuire ad Hamas tutte le colpe del conflitto.

Seconda: il fatto che la gran parte dei 1900 palestinesi uccisi fossero civili ha i contorni di un massacro che non può essere rimosso. E se è responsabilità di Hamas utilizzare i civili come scudi umani, è responsabilità del governo d’Israele cercare una pace in nome di un’umanità condivisa.

Terza: non c’è una soluzione a breve termine del conflitto. È necessario cercare un accordo di pace che assicuri la sicurezza d’Israele ma che ponga fine all’assedio che è la prima causa della distruzione della società e dell’economia di Gaza, della sua mancanza di democrazia, della corruzione, e dei tunnel.

È sconcertante constatare l’assenza di un piano di pace. All’inizio di agosto Israele ha deciso di andarsene dalla Striscia per conto proprio. Fine delle ostilità, ma anche della diplomazia. In un contesto globale di guerre polverizzate, quello tra Israele e Gaza è solo un conflitto rimandato. Invece di una promessa di felicità, una cupa maledizione.